La sfida della biodiversità (I)

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Il contributo della biodiversità alla nostra specie

Parlare di biodiversità non è un esercizio generico di conoscenza.

La nostra specie vive della biodiversità. Nel corso della storia umana abbiamo raccolto e ci siamo alimentati di almeno sette mila specie diverse di vegetali. Oggi solo una decina (mais, frumento, riso, orzo, manioca, sorgo, soia, canna da zucchero, patate, palma da olio o africana) rappresentano attorno all’80% della produzione globale, con un volume incrementato del 50% negli ultimi 20 anni. Sette mila specie sono solo attorno al 2% delle specie di piante descritte. Per questo il numero di vegetali commestibili o con parti commestibili è probabilmente molto più alto. Mi è stato facile confermarlo visitando, nel corso degli anni, molte “huertas” indigene nell’amazzonia, gli appezzamenti di terreno adiacenti alle abitazioni in cui le famiglie avevano modellato l’ambiente ad uso umano. Ho potuto spesso classificare in poche centinaia di mt2 più di 120 specie utili, spesso molto diverse tra una “huerta” e l’altra. Non tutte con scopi alimentari. Molte avevano usi medicinali o per la fabbricazione di oggetti di uso quotidiano. Altre, per la verità, erano purtroppo solo vestigia degli anni passati in cui bevande o alimenti non potevano essere acquistati nello spaccio locale.

Quasi allo stesso modo, non abbiamo incrementato molto la domesticazione di specie animali dopo quelle dei primi millenni della storia umana sedentaria. Non è un caso che le più recenti acquisizioni di una certa rilevanza nell’allevamento mondiale (con la parziale eccezione del coniglio, la cui addomesticazione risale al medioevo) provengano dall’ultimo continente popolato dalla nostra specie: le Americhe. Tacchino e anatra muta, assieme al meno conosciuto cuy o percellino d’india, hanno poco più di un paio di millenni di addomesticazione. Come nell’agricoltura, l’allevamento ha incrementato della metà la produzione mondiale di carne negli ultimi 20 anni, la più grande e rapida crescita nella storia umana, mentre la popolazione aumentava “solo” del 20% e nonostante l’espansione, in “occidente”, di vegetariani e vegani.

Va addirittura forse peggio nel settore pesca. Alleviamo, o abbiamo allevato, circa 500 specie acquatiche, tra pesci, molluschi, crostacei e alghe. Ma solo una quarantina rappresentano il 90% della produzione mondiale dell’allevato, concentrato tra l’altro in soli 10 paesi e la metà di questo solo in Cina. Si tratta però solo del 50% del consumo di prodotti provenienti da ambienti acquatici. L’altra metà si ottiene ancora dal primitivo metodo della pesca in oceani, mari, fiumi, laghi, cambiato poco negli ultimi 10mila anni di storia umana. Inoltre, all’aumento dell’acquacultura non è corrisposta una diminuzione del prelievo da aree naturali, stabilizzato sui dati record degli anni ‘90. Oltre a ció l’acquacultura non è esente da impatto sugli ecosistemi. Per esempio, l’allevamento del salmone richiede Krill pescato nella regione antartica. Negli ultimi anni la popolazione di questo crostaceo fondamentale nella dieta di cetacei e pinguini (e albatros) sembra diminuita dal 40 all’80%.

Ma non è solo alimentandoci che dipendiamo dalla biodiversità.

Dobbiamo sommare l’arsenale chimico che permette agli organismi di competere tra loro, accoppiarsi o non soccombere.

Principalmente dalle piante identificate attraverso la medicina tradizionale praticata in diverse parti della Terra, derivano 90 dei circa 120 principi farmacologicamente attivi usati nel mondo: alcaloidi, glucosidi, grassi, essenze, antibiotici, ecc.

Le formiche neotropicali, – la regione biogeografica che va dal Messico al sud dell’Argentina-, del genere Atta, che in Italia chiamiamo parasole o mangiafoglie, coltivano nei loro orti sotterranei, in enormi megalopoli di piú di 5 milioni di individui, dei funghi basidiomiceti (dello stesso gruppo di quelli che normalmente consideriamo commestibili). Un altro fungo, un ascomiceto (come i lieviti, ma anche tartufi e penicilline), attacca le loro coltivazioni. Per questo le Atta secernono un antibiotico, in continua evoluzione per poter adattarsi alle strategie predatorie del fungo parassita, per controllarne l’aggressione. Questo potrebbe essere la base di nuovi antibiotici per affrontare un’emergenza medica giá in atto e di probabile futuro gran impatto sulla salute umana: l’antibiotico-resistenza.

Viviamo, usiamo, godiamo quindi della biodiversità ma la conosciamo poco.

Fino ad ora abbiamo classificato attorno a due milioni di specie di organismi viventi, circa il 70% artropodi (insetti, aracnidi, ecc). Ne restano ancora, secondo le stime delle varie “scuole” di tassonomi, dai 10 ai 50 milioni da immettere nel catalogo della vita.

Nel frattempo, però questo inventario è sfoltito, ancor prima di essere noto, dall’intervento di una specie dominante: Homo sapiens.

Non sono numeri definitivi, ma ogni giorno si estinguono tra 70 e 150 specie di organismi, dati ONU: quasi 7 all’ora… più di 50mila all’anno. Forse questi dati sono anche in difetto. Come vedremo, l’abbattimento di un solo frammento di foresta tropicale umida può portare all’estinzione di decine di specie di piante e animali, nell’oblio generale. E ogni giorno si rimuovono centinaia di questi frammenti di foresta.

Ci stiamo quindi privando gradualmente di un fondamentale patrimonio anche della storia umana. L’estinzione non è un atto indolore. Un argomento solo per specialisti o amanti della natura. Per la nostra specie, i cui individui sono per la maggior parte del tutto inconsapevoli del loro contributo c’è, e sarà sempre più forte, un prezzo da pagare…forse oggi stesso stiamo annichilando un organismo che potrebbe contribuire all’alimentazione o alla salute umana, un impollinatore, una specie silvestre resistente a determinate malattie o parassiti, un essere vivente che potrebbe facilitare o accelerare la cosiddetta transizione ecologica.

Cos’è quindi la biodiversità? Che ruolo ha nelle diverse regioni della Terra? Quali ecosistemi sono i più minacciati? Che prospettive o strategie ci sono per ridurre l’impatto della nostra specie? Come affrontare o armonizzare le necessità umane con la conservazione della vita sulla Terra?

 

*Phoresta pubblica una serie di post sulla biodiversità a cura di Andrea Visinoni, ricercatore associato e specialista in biodiversità del museo di storia naturale Noel Kempff Mercado, dell’Università UAGRM di Santa Cruz de la Sierra- Bolivia.